martedì 28 dicembre 2010

Del Ritorno

Tornare è sempre un'esperienza strana. Perché alla fine vedi luoghi e persone che conosci e ti conoscono da sempre, ma che ormai non sanno più chi sei. O forse, sono gli unici che lo sanno benissimo. E allora ti ritrovi a rispondere a domande, su domande, su domande. Cosa fai, dove stai, come stai, quanto resti, quando torni, come mai, fatti miei, cazzi tuoi. Che a me mica mi disturbano, eh. Non mi danno fastidio. È solo che tutte le volte mi ritrovo ad arrampicarmi sui muri usando il Vetril come colla, per dare spiegazioni, precisazioni, informazioni che in genere, la maggior parte delle volte, non devo dare. Rivedere vecchi compagni di scuola che non hanno più notizie di te dai tempi del diploma, che ormai, dio bono, fanno quasi 8 anni, è un'esperienza di regressione. Vai a ripercorrere in pochissimi minuti, cercando di non essere mai noioso, tutto ciò che ti è successo da quella volta quando all'occupazione fumammo una canna nell'ufficio del preside. Lì per lì non gli dai molta importanza, non è traumatico o altro. Lì per lì riesci a cavartela bene o male, cercando di capire dallo sguardo del tuo interlocutore quali sono i dettagli che gli interessano di più. Che poi, che lo dico a fare, sono sempre gli stessi.

Laurea.

Soldi.

Figa.


Il fatto è che quando non hai nessuna di queste tre cose devi giocartela con grande accortezza. Ma anche quando ne hai una, due o tutte e tre. Non puoi spiattellare subito dicendo "Si, sono laureato, non ho un lavoro e ho lasciato la mia ragazza". Non così, non così in fretta. Devi costruire tutto un giro di parole, un'impalcatura intorno a questi tre concetti base da cui partire per far sì che il vecchio compagno di classe/judo/calcetto/sbronze smetta quello sguardo perplesso con il sopracciglio alzato, la mano sul mento, e sorrida. Sorride perché evidentemente sei riuscito a soddisfare la sua curiosità, che si riduce al voler sapere se la tua vita ha preso una brutta piega, se hai fatto la fine delle botte a muro oppure no. Quindi in quel sorriso sono nascoste le conclusioni che ha tratto paragonandosi a te. Ed è sempre un sorriso, la reazione, indipendentemente dal bilancio positivo o negativo. Cambia solo il non detto, la verità dietro a quei denti in mostra. Che può essere "guarda sto stronzo che fortuna che ha avuto" o "guarda sto stronzo che sfigato che è". Quando poi tutto è finito, e magari ti ritrovi solo per un momento, prima di incrociare lo sguardo di qualcun altro, un attimo prima di cominciare a pensare "oddio e ora questo come cazzo si chiamava", pensi a quello che hai detto, come l'hai spiegato, su quali punti ti sei concentrato e ripeti a te stesso "ma è davvero tutto qui? È davvero così semplice riassumere la mia vita?". Non lo so, ma è deprimente. Forse poi è questo ciò che distingue gli amici dai semplici conoscenti, le persone che ci saranno sempre da quelle che hai incrociato negli anni e che si ricorderanno di te solo ogni tanto. Quindi alla fine se da un lato mi fa piacere rivedere facce familiari che il tempo aveva annebbiato, dall'altra mi ritrovo a disagio, e non capisco se poi è perché sono insoddisfatto della mia vita, perché ho paura che non sia "abbastanza", oppure perché sarebbe come raccontare ad un perfetto estraneo di quella volta quando ti sei sbronzato tantissimo e hai dormito su una panchina. Le domande di circostanza hanno senso quando si ha a che fare con chi non ti conosce. E quando chi ti ha conosciuto si rivolge a te solo così, nel momento in cui la superficialità si impadronisce di un rapporto, solo allora capisci di aver perso una persona. E allora ben venga il ritorno al passato. Forse l'unico modo per avere un rapporto genuino con chi non fa più parte della tua vita è tornare ad essere quello che eri una volta. Rivivere insieme le birre, le risate, gli eventi di un tempo dimenticandosi tutto il resto. Mettersi lì e parlare di quella volta che il bidello ti aveva mandato a prendere un whisky al bar all'angolo. E sorridere, e basta.

mercoledì 24 novembre 2010

E Finalmente, Si Tromba.



Ieri sera, X-Factor è finito. È finito nella maniera forse più inaspettata, con il trionfo di Nathalie, prima donna a vincere l'edizione italiana del programma, e non se lo aspettava quasi nessuno. Tutti puntavano su Davide, il minorenne perfettino dalla faccia pulita. C'era chi bisbigliava un Nevruz, contando sullo zoccolo duro dei suoi fan, sperando nel colpo di scena. E invece ha vinto Nathalie. Meritandolo appieno, secondo me. Ha sempre cantato senza grosse sbavature e con un'intensità seconda, probabilmente, solo a quella di Nevruz. Il suo stile è migliorato col tempo, inteso anche come semplice "look". Sbaragliando la concorrenza femminile, è diventata via via sempre più donna, sexy, seducente, interessante. E questo, parliamoci chiaro, è importantissimo, perché X-Factor non è solo un programma dedicato a quelli che cantano bene, ma ha l'obiettivo di trovare un cantante, un prodotto che funzioni. Pensiamo a Matteo Becucci due anni fa. Forse la voce migliore mai approdata sul palco di Via Mecenate eppure, ha fatto molta fatica per non finire nel dimenticatoio, andando a prendersi il ruolo di Giuda in Jesus Christ Superstar, e non è detto che dopo questo riesca a fare altro. Al contrario, Marco Mengoni è ciò che Becucci non è riuscito ad essere: un prodotto che funziona, come già detto. Voce splendida, grande estensione vocale, a cui però si aggiunge una grandissima capacità di stare sul palco, un look interessante, una fotogenia indiscutibile. Anche Noemi, arrivata due anni fa bruttina e un po' sovrappeso, ha dovuto cedere a questo meccanismo. Per questo, credo che Nathalie abbia beneficiato moltissimo di questa sua evoluzione, rendendola comunque "vendibile" in un mercato dove non è solo la musica a dettare le regole. Per quanto riguarda Davide, io starei tranquillo. È giovanissimo e alla fine troverà il giusto pezzo per finire sulla copertina di Cioè e stare 10 mesi ai primi posti della classifica di Total Request Live. Nevruz è quello che rischia di più, perché faccio fatica a vedere un discografico disposto a produrgli un disco. Rischia di tornare nell'underground, con qualche fan in più, un po' come hanno fatto i Bastards Sons of Dyoniso. Che, per intenderci, non se la passano male, ma immagino che arrivare in finale ad X-Factor ti faccia ambire a qualcosa di più. L'unica cosa che può salvare Nevruz dal dimenticatoio mainstream è il suo singolo. Sono le radio. 




Non ha niente di straordinario, questa canzone. Eppure, forse grazie all'interpretazione di Nevruz, struggente, intensa, emozionata, il pezzo ha una carica emotiva fortissima che può essere un buon traino. La frase "Spero che almeno tu sia felice" nasconde dietro un mondo di sentimenti che va molto oltre il classico stereotipo musicale sulla fine di una storia. Non è un "I still Love You", non è un "Mi manchi" o "Senz e te fernesce Napule" ma qualcosa di molto più romantico, e vero. O almeno, io la vedo così, e spero sinceramente che anche i vari capoccia delle radio italiane la pensino così. 


Comunque, questa edizione  è finita e non credo ne vedremo altre così. Non credo che i tre nuovi giudici vogliano ripetere l'esperienza. La Tatangelo è stata praticamente massacrata dal pubblico, vedendo le sue protette epurate in fretta e furia. Ma forse la colpa non è tanto sua in quanto Tatangelo, ma in quanto pessimo Tutor o come diavolo si dice. La scelta delle canzoni per le sue cantanti è sempre stata pessima, a partire dalla prima serata con la scelta sciagurata di "Grazie dei Fior" per la povera Alessandra (Non ti dimenticherò mai, chiamami 34888...) e quella di "Paparazzi" per Sofia, dove fu pessima anche la scelta di coreografia, stile, arrangiamento, tutto. E non mi stupisce pensare che sia stata proprio Dorina quella a reggere di più, a mio parere non la più brava del gruppetto. Tra lei e la Tatangelo c'era questo rapporto di odio/amore che nei talent/reality funziona tantissimo. "Votiamo Dorina per vedere se fa la pace con la Tata o la manda definitivamente affanculo, dai". Comunque, questo bisogna dirlo, spesso la Tatangelo è stata un buon giudice, onesta e corretta nei giudizi sui cantanti. Memorabile, per quanto mi riguarda, la sua faccia dopo aver sentito Stefano cantare "Centro di Gravità Permanente"


Enrico Ruggeri secondo me alla fine si è divertito. Ha fatto quello che gli pareva, ignorando tutti i tentativi degli altri giudici e della produzione di attaccargli addosso etichette, di farlo diventare a tutti i costi un personaggio. È andato avanti a testa bassa, riuscendo a portare quasi in finale i Kymera, e non era un compito facile. Anzi, io credo che Ruggeri sia stato più convincente proprio nel ruolo di Vocal Coach o Tutor o come si dice. La scelta dei pezzi mi è sempre sembrata azzeccata per i suoi cantanti, con dei buoni arrangiamenti e un'ottima armonizzazione. Peccato per l'inedito, che invece ha toppato.


Elio ha ottenuto quello che voleva, in parte. È arrivato ad X-Factor con un obiettivo primario: non far rimpiangere Morgan. E, mi dispiace dirlo, secondo me non ci è riuscito. Non ci è riuscito del tutto perché gli altri giudici lo hanno sempre visto come una macchietta, in fondo. L'unico che lo prendeva sul serio era Ruggeri, che lo conosce bene. Quindi è riuscito a fare il suo gioco, dando il contentino al pubblico che si aspettava di vedere un clown, mentre in realtà è stato il più cattivo, quello che davvero voleva la vittoria a tutti i costi. Credo che, ottenuta la vittoria, non tornerà l'anno prossimo.


Infine, un saluto a Mara Maionchi, battuta anche quest'anno, anche dopo essersi liberata dei maledetti gruppi vocali, anche se aveva il prospetto perfetto della popstar in scuderia. Peccato Mara, ma sono convinto che gli dei della musica ti abbiano punito per averci costretto ad ascoltare l'inedito di Filipponi


Detto questo, vado a riflettere sul motivo per cui non scrivevo sul blog da mille anni e ricomincio facendo un post fiume su una stronzata come X-Factor. E rifletterò anche sul motivo per cui non mi perdo una puntata da 3 anni. What's Wrong With Me?


"Bravo, bene, mi sei piaciuto." 
Mara Maionchi on X-Factor 1,2,3,4, e oltre

martedì 22 giugno 2010

Esame d'Immaturità

Se fossi un maturando probabilmente avrei scelto la traccia di argomento generale, quella che invita il candidato a riflettere "sugli scopi e sugli usi della musica nella società contemporanea". Avrei scelto quello perché si tratta del classico tema da studente sfaticato, impreparato, o con una preparazione abbozzata e superficiale. Fare un tema del genere è come ammettere all'intera commissione di non sapere un cazzo. Io poi l'avrei presa come una sfida. Non ti parlerei di Levi, cara professoressa di Italiano, non mi lancerei in un elogio del piacere citando D'Annunzio e snocciolando aforismi e competenze, non mi abbandonerei ad una sentita filippica sui giovani e la politica e di certo non farei un tema ispirandomi a Giacobbo. Io, stimati membri della commissione, scriverei un profondo e sensibilissimo messaggio d'amore, parlerei di quei pomeriggi piovosi, chiuso in camera ad immaginare un futuro ascoltando i Beatles, di quelle notti insonni quando solo l'ascolto dei Belle & Sebastian mi faceva dormire sereno, o di quelle altre quando, crogiolandomi nell'angoscia adolescenziale, ascoltavo ossessivamente e ripetutamente i Radiohead. Racconterei di quando, qualche anno prima, persi la verginità su una nave da crociera mentre nell'aria suonava questa canzone, e di come da allora ogni volta che la sento, nonostante faccia terribilmente cagare, non posso fare a meno di sorridere e sentire uno strano calore dentro. E probabilmente, voi cari membri della commissione, storcereste il naso perché non sta bene parlare di certe cose, perché è un tema immaturo, da ragazzino, e come al solito non capirete un cazzo.

I'm not here, this isn't happening...
Radiohead - How To Disappear Completely (KID A, 2000)

venerdì 18 giugno 2010

9 Maggio 1978

«Non mi ero mai divertito così tanto in vita mia». Si asciugò le lacrime dagli occhi mentre un paio di sussulti e i loro sorrisi lasciavano intuire che non erano amare. «Davvero una bellissima storia, Aldo, bellissima. Devi aver avuto una vita molto interessante.» «Non più interessante di tanta altra gente della mia età, mia cara. Dopotutto, quelli della mia…» le parole gli si bloccarono in gola, ancora dei sussulti agitarono il suo corpo, scatenati da violenti colpi di tosse. Adriana si alzò rapidamente, lo tirò su e gli porse un bicchiere d’acqua. Riuscì a fare qualche sorso, la tosse si placò. Sorrise, poi con la mano le fece un cenno, come a dire sto bene, grazie per farla tornare al suo posto. Sembrava molto più vecchio della sua età. Aveva solo sessantun anni. «Quelli della mia generazione, dicevo» disse risistemandosi sulla brandina, mentre Adriana tornava alla sua sedia, «sono di un’altra pasta, non avevamo mica la televisione, noi. La radio, se andava bene. Vivevamo per strada. Ora state tutti lì, rintanati negli appartamenti, senza uscire mai. Quando ero giovane io non ero mai in casa. Tu, per esempio, esci, vai da qualche parte, non devi stare qui tutto il tempo. Io so badare a me stesso.» «Lo sa benissimo che non posso lasciarla da solo. Non adesso. Lei ha bisogno di me.» «Io ho bisogno di te? Davvero, Adriana? Io ormai non ho più bisogno di nessuno. Tutte le persone che avrebbero potuto aiutarmi mi hanno voltato le spalle, mi hanno ignorato, mi hanno insultato. La cosa che fa più male, Adriana, è che non mi hanno creduto. Pur di salvare la faccia, pur di pensare ai loro interessi, mi hanno abbandonato. Dicono che non sono più in me, che non so quello che dico. Che non sono lucido. Nessuno ha espresso una parola di conforto, nessuno ha pensato davvero a me, ma solo a ciò che rappresento. Ciò che il mio essere qui, in questa stanza, indebolito e stanco, guardato a vista da te, rappresenta. E sono stanco, Adriana, stanco di vedere la dignità di un uomo distrutta da interessi personali, chiacchiere, violenze, ipocrisie. Io non voglio più essere un simbolo. Voglio essere un vecchio, un padre, un marito, un uomo. Solo questo. Lasciatemi in pace, tutti.» Una lacrima solcò il volto di Adriana. Le parole di Aldo erano lancinanti, terribili, ai suoi occhi. Si alzò dalla sedia, lentamente, e si diresse verso la porta rovinata dall’umidità. Uscendo, mentre spegneva la luce, disse «Spero solo che possa trovare il modo per perdonarmi. Per perdonarci tutti.» Aldo restò in silenzio, al buio, per molto tempo. Solo ascoltando molto attentamente si sarebbe potuta sentire una flebile preghiera interrotta da brevi singhiozzi. Anche lui chiedeva perdono. Ad un tratto, la porta si spalancò violentemente. Due uomini malvestiti entrarono nella stanza. Uno dei due disse «In nome del movimento rivoluzionario, noi Brigate Rosse, nemici del...» «Poche chiacchiere» - lo interruppe l’altro - «Portiamolo di sotto e mettiamo fine a questa storia.»

lunedì 10 maggio 2010

... Ma tornando a casa ho fatto un giro un po' lungo.


Ho smesso di fumare. Ho di nuovo una ragazza (che è quella di prima). Sto per prendere la patente. Altre cose. Il blog ha ufficialmente cambiato nome, l'autore ahimé è il solito cazzaro. Tornata di nuovo la voglia di scrivere ma probabilmente passerà, o forse no. Estiqaatsi pensa che posso fare un po' come mi pare.