martedì 12 settembre 2006

Auguri, Dylan.

Il 28 Settembre l’Indagatore dell’Incubo festeggia venti anni di vita, e lo fa in grande stile, dopo cinque anni, insieme al suo creatore: Tiziano Sclavi.


Correva l’anno 1986. Ad ottobre, mentre ancora in Italia si ricordavano con odio i gelidi mesi invernali dell’anno precedente, in edicola si presentava timidamente una nuova serie della Sergio Bonelli Editore: Dylan Dog.
Le sue origini sono ormai note a tutti: Tiziano Sclavi, nel 1984, era un redattore della Casa Editrice di Mister No e Zagor, nonché apprezzato sceneggiatore di alcuni albi di queste testate. Nonostante la Bonelli fosse riconosciuta come una delle più importanti Case Editrici del Paese, il suo fondatore, Sergio Bonelli, il Direttore Decio Canzio e Sclavi non si sentivano soddisfatti della situazione in cui si trovavano i fumetti in quegli anni. Relegati nella “zona proibita” delle Edicole, ad un passo dalle riviste porno, solo pochi di essi riuscivano ad avere una maggiore attenzione del pubblico. Per questo, durante i brevi incontri al bar sotto gli uffici della Casa Editrice, i tre s’interrogavano sulla strada da seguire per portare uno scossone nel mondo delle “nuvolette”. Dopo vari tentativi di riviste d’autore, purtroppo fallite, decisero di fare ciò che sapevano fare meglio: le serie “popolari”. Detto, fatto. Nel tempo di un pomeriggio Sclavi preparò un soggetto per quella che sarebbe diventata la sua creazione più popolare.
Inizialmente, Dylan Dog non doveva per nulla assomigliare a quello che conosciamo ora. Non doveva neanche chiamarsi in questo modo: Dylan Dog infatti era il nome provvisorio che Sclavi dava a tutti i suoi personaggi prima di sceglierne uno definitivo, in parte dedicato al poeta Dylan Thomas e in parte dedicato al titolo di un libro: “Dog, figlio di…” . Inoltre, anche l’ambientazione e il modo di essere del personaggio dovevano essere completamente diversi. Dylan Dog in principio era un investigatore privato hard-boiled in stile Marlowe, senza l’umorismo che ora lo contraddistingue, solitario e residente a New York. Ma a New York c’era già Martin Mystère, testata nata da poco ideata da Alfredo Castelli, e per questo decisero di ambientarla a Londra, città gotica per eccellenza e quindi perfettamente adatta all’ambientazione horror che doveva caratterizzare il fumetto. In più l’investigatore non poteva agire da solo, doveva poter condividere con qualcuno i propri sospetti, dunque la spalla era d’obbligo (Inizialmente ispirata a Marty Feldman, successivamente arrivò il mitico Groucho). In seguito a questi primi cambiamenti, si delineò definitivamente il profilo psicologico del protagonista e lo stile con il quale venivano raccontate le storie. Mancava solo il suo volto.

Sclavi affidò al disegnatore Claudio Villa il compito di trovarlo. Villa si ispirò al ballerino Antonio Gades, creando un Dylan piuttosto macho, dall’aspetto molto latino. Sclavi non parve molto soddisfatto, e fortuna volle che pochi giorni prima avesse visto il film “La Scelta” (Another Country) nel quale appariva Rupert Everett. Villa venne obbligato a vedere il film e il volto di Dylan Dog nacque lì, nella penombra di un cinema.


Dylan Dog nella sua prima incarnazione: 
i
l ballerino Antonio Gades. (disegni di Claudio VIlla)

Dopo due anni, dopo aver assunto una forma più o meno precisa, dopo decine e decine di tavole scritte da uno Sclavi in preda all’entusiasmo,l’Indagatore dell’Incubo era pronto ad affrontare la prova del nove: l’uscita in edicola.

Non la superò. Dopo alcune settimane dall’uscita, il distributore telefonò a Decio Canzio dicendo, lapidariamente: “l’albo è morto in edicola.”
Ma alla Bonelli non persero le speranze. Riuscirono a rientrare nelle spese della prima uscita, e continuarono a produrre albi mensili, mantenendosi sempre su vendite piuttosto mediocri. Poi, improvvisamente, senza alcun preavviso, il boom. Il passaparola aveva colpito di nuovo. Così come sarebbe successo successivamente per “Tre Metri Sopra al Cielo” (sic!) le vendite aumentarono vertiginosamente. Cominciava l’era di Dylan Dog.

Nei primi anni novanta Dylan Dog era l’albo a fumetti più venduto in Italia, superando anche Tex, lo storico pistolero western nato negli anni ’50, che tuttora vanta un enorme numero di appassionati. Si arrivò a sfiorare 1 Milione di copie vendute al mese. E il fenomeno non era circoscritto al mondo dei fumetti: l’intera stampa generalizzata si interrogava sulle ragioni dell’enorme successo di questo fumetto horror, decine di personalità illustri (primo fra tutti Umberto Eco) dichiararono il loro amore alla creatura di Sclavi. Cominciarono a nascere i primi cloni, tutti ispirati al lato più superficiale della serie, quello splatter, violento, macabro. Non ebbero successo, perché Dylan Dog non rappresentava una moda passeggera, non rappresentava un desiderio di splatter dei giovani italiani, le vicende dell’antieroe londinese raccontavano, in maniera originale, le difficoltà e i disagi dell’uomo nella nostra epoca, al grido, ormai celebre, de “I mostri siamo noi!”. Ma non era solo Dylan a crescere. Grazie al suo enorme successo, molti altri editori trovarono il coraggio di tentare nuove imprese, la Bonelli stessa cominciò a produrre nuove testate, e nel giro di qualche anno i fumetti erano entrati nell’immaginario comune, non più confinati e snobbati, non più vicino alle riviste porno, ma in bella mostra, numerose, con migliaia di lettori. Fu un periodo d’oro per tutti.



Il Numero 45, "Goblin" uscito nel 1990, porta
in copertina l'entusiastico annuncio di
200.000 Copie Vendute.
(Copertina di Angelo Stano)


Col passare degli anni, però, le cose cominciarono ad andare male. Dopo aver vinto decine di premi, tra cui anche il prestigioso oscar del fumetto, il Yellow Kid (1990), Dylan Dog cominciò a soffrire i problemi legati alla serialità e alla mancanza di una vera continuity. Le idee ovviamente non erano più geniali come le prime, i lettori erano sempre più esigenti e molti cominciarono a lamentarsi dell’eccessiva ripetività degli albi. Probabilmente il periodo più nero per la testata Bonelliana è quello che va dagli ultimi anni ’90 fino ai primi del 2000, anni in cui Sclavi sparì, e venne accusato di aver “abbandonato” la sua creatura. Gli altri sceneggiatori, seppur validi all’inizio, non riuscivano sempre a creare delle buone storie, a causa anche della libertà limitata che avevano di interferire sul personaggio, compito esclusivo di Sclavi. Inoltre, mentre il fumetto mondiale si evolveva con sperimentazioni grafiche di ogni genere (basti citare Moebius o Enki Bilal), e anche i fumetti popolari americani miglioravano la loro veste grafica, i disegnatori Bonelli erano “bloccati” nel famoso “schema bonelliano”, che di fatto impediva ardite soluzioni grafiche che avrebbero potuto far chiudere un occhio al lettore di fronte ad una storia mediocre. Molti lettori cominciarono a sostenere che Dylan Dog era morto, le vendite calarono. Ma comunque molti fedelissimi continuarono a comprare, fino a che ci furono alcuni segnali di ripresa.

Tra questi segnali, sicuramente quello più importante è l’entrata in scuderia dello sceneggiatore più simile a Sclavi per genialità, stile e rapporto con il personaggio. Pardon, sceneggiatrice. Sto parlando di Paola Barbato, ormai considerata colonna portante della serie, insieme a Pasquale Ruju e a pochi altri. Ma mentre Ruju ormai non riesce più a scrivere albi di buon livello, probabilmente a causa dell’eccessivo “sfruttamento” che ha subito negli anni, Paola Barbato regala una perla ad ogni sua opera, facendo spesso gridare al miracolo i lettori, travolti dalle sue storie amare, poetiche, originali. Non è un caso, insomma, che a sceneggiare l’importantissimo Numero 200 (unico albo sulla cui copertina compaiono anche Groucho e il commissario Bloch), titolato semplicemente “Il Numero Duecento” sia stata proprio lei. E non ha deluso le aspettative: “Il Numero Duecento” è considerato uno dei migliori albi degli ultimi anni, e racconta le origini dell’Indagatore, appena dopo i tristi eventi di un altro albo importante, “Finchè Morte Non Vi Separi” il numero 121, che festeggiava il decimo compleanno di Dylan Dog.
E ora, dieci anni dopo, il numero raddoppia, in tutti i sensi.

Numero 242, venti anni, storia doppia. Alla Bonelli vogliono fare le cose in grande per festeggiare il loro pupillo, e lo faranno affidando ancora una volta alla Barbato l’arduo compito di scrivere ben due albi celebrativi del ventennale, nei quali forse si farà luce sul personaggio più misterioso dell’intera serie: Xabaras, il malefico dottore che sogna di resuscitare i morti e millanta di essere il vero padre di Dylan Dog. Inoltre, nelle due storie, la prima in edicola il 28 Settembre, dal titolo “Xabaras!” e la seconda il mese successivo, intitolata “Nel Nome del Padre” vedremo il ritorno di altri due personaggi noti ai fan dylaniati: La strega Kim e il suo terribile gatto, Cagliostro.


Come se non bastasse, per la prima volta nella storia della Sergio Bonelli Editore le copertine dei due albi, unite, formeranno un unico disegno, e ancora, come ormai ci hanno abituato in ogni occasione speciale, entrambi gli albi saranno a colori, ma mai come prima saranno simili ai Comics americani di ultima generazione.
(A lato, alcune sorprendenti tavole di "Xabaras!" il primo dei due albi dedicato al ventennale. Disegni di Bruno Brindisi. Proprietà Sergio Bonelli Editore)






Ma i festeggiamenti non finiscono qui. E’ in edicola infatti, il numero 240, “Ucronìa” , che segna il ritorno di Tiziano Sclavi tra gli sceneggiatori. Era infatti da Maggio 2001, mese di uscita dell’albo “Il Progetto” che “Tiz” non scriveva una storia. Un blocco dello scrittore che ha spaventato decine di fan, sebbene non fosse la prima volta. Ma ora è tornato, e ha pronti ben altri due albi che ci accompagneranno alle soglie del 2007.
Quello in edicola è il primo, un albo in pieno stile Sclavi, basato sul concetto espresso dal titolo: Ucronìa, senza tempo. Anzi, fuori dal tempo, ma dentro, al “tempo” stesso. Domina il surreale, la domanda “what if?”, e c’è spazio, molto spazio, per lo splatter. E’ un albo a cui non eravamo più abituati, lontano dalla piega che Dylan aveva preso negli ultimi tempi, nonostante “Oltre Quella Porta” di Paola Barbato ci avesse ricordato che Dylan è anche metafumetto, è anche introspezione, è tutto.


Ecco, forse il vero motivo per cui Dylan Dog ha raggiunto i venti anni di vita, tra alti e bassi, appassionando milioni di lettori è proprio questo: rappresenta ogni aspetto della nostra esistenza, esattamente come noi è angosciato dalle nostre stesse paure, ossessionato da ciò che non può comprendere, affascinato dalle “grandi domande”. E noi, insieme a lui, ci sentiamo come il computer al termine di “Ucronìa” e ci chiediamo:

“Esiste l’Esistenza?”

E la risposta può essere solo una:

“Si e No…”

lunedì 4 settembre 2006

Come se ce ne fosse ancora bisogno...

... dimostro di essere uno sfigato, di dimensioni epocali.


 


Ok, breve preambolo:


L'estate è finita, tralascio commenti perchè è stata piatta come le interpretazioni cinematografiche di Monica Bellucci. Eravamo rimasti a questo: Psicologia/Duse a Roma. Incredibile ma vero, siamo ancora lì, con due aggiunte. Siccome mi piace sempre tenere aperte varie possibilità, mi sono lanciato in altre due imprese: Mi sono iscritto ai test di Psicologia al San Raffaele e alla Cattolica di Milano. Così, perchè sono università fighe e perchè conviene avere più possibilità. E allora vediamole queste possibilità.


Fine Preambolo.


Il primo settembre, giorno che ufficializza l'inizio di una nuova tediosa stagione lavorativa per molti, mi trovavo bel bello fuori dall'imponente struttura dell'Università Vita e Salute San Raffaele, a due passi da Milano Due. Ero lì, sigaretta in bocca (nonostante avessi deciso di smettere appena 2 settimane fa), occhiali da sole, atteggiamento da figo come per dire "sono figo, più figo di te, amami". Insomma un modo patetico per rompere il ghiaccio. Mah. Insomma ero lì, mi guardo intorno e chiaramente ho il tipico scenario che ormai ogni studente maschio si trova davanti ad ogni test d'ammissione. Una miriade di ragazze ciarlanti  e profumate, preoccupate delle domande di logica e speranzose di copiare. Una miriade. Ma eravamo pochi, comunque, un duecento, più o meno. Bene, mi dico io. Ho una possibilità su due di entrare.


Come al solito l'attesa prima di cominciare il test è lunga e terribilmente fastidiosa. Ci hanno fatto scendere a turno per le scale mobili, vacche umanoidi verso il macello. Intorno alle 14 ci ritroviamo tutti in una grande aula magna, senza i tipici banchi a cui le Università Statali ci hanno abituato. Vari sedili foderati, blu, quasi identici alla sedia sulla quale poggio le mie terga in questo momento. Niente supporti, neanche il classico affarino che si gira. Insomma avete capito quale. Solo una cartelletta, blu anch'essa, sulla quale dovevamo appoggiare il foglio delle risposte. Risultato: sembravamo duecento congressisti che ascoltavano un uomo invisibile e prendevano appunti. Il test in sè era particolarmente bastardo, domande che appartenevano alla categoria della fantomatica CULTURA GENERALE e basta. Un centinaio, spaziavano dalla definizione di Manierismo a Paisà, unico film non diretto da Vittorio de Sica delle cinque alternative proposte. A fine test l'annuncio: i risultati saranno disponibili dal quattro settembre. Cavoli, non perdono tempo al San Raffaele. Così, torno a Bologna, cara vecchia adorata Bologna offesa più che mai perchè preferisco anche Milano a lei, e attendo.


Stamattina, comincio a spulciare il sito. Cerca di qua, cerca di là, alla fine la trovo: la graduatoria. Leggo: "Il suo nominativo è evidenziato in giallo". Ottimo, il giallo è un colore che si fa notare. E io davanti allo schermo grande, mi paro gli occhi con le dita, a immaginarmi tra le righe, un maiuscolo Francescomaria. Scendo, scendo, scendo, scendo, giallo. Leggo: è il mio nome. Punteggio: ok non mi interessa. Posizione. Leggo. Rido. Rileggo. Rido ancora. I posti disponibili sono 80. Si, si, è proprio così. Sono sfigato, ve l'ho detto. Non posso fare le cose in maniera semplice, lineare. No, devo soffrire perchè altrimenti i fottuti telespettatori si annoiano e cambiano canale.


I posti sono ottanta. E io sono ottantunesimo. 


Sono ottantunesimo. Significa che non posso mettermi l'animo in pace. Significa che devo aspettare la graduatoria del recupero posti, il 7. Significa che il 7 devo comunque fare il test alla Sapienza, perchè non si sa mai. Significa che l'8 devo andare a Milano. Significa che l'8 devo comunque fare il test alla Cattolica, perchè non si sa mai. Significa che siccome i tempi sono brevi, gli ottanta davanti a me potrebbero iscriversi tutti, non sapendo ancora il loro destino nelle altre facoltà. Significa che ho cominciato una ricerca incrociata di tutte le ottanta persone davanti a me. Significa che ho già un fucile da cecchino pronto, e una corda di pianoforte.


Significa che sono uno sfigato, come se ci fosse ancora bisogno di una dimostrazione.



 


E io davanti allo specchio grande, mi paro gli occhi con le dita
A Immaginarmi tra le gambe, una minuscola fica.
Fabrizio de Andrè, Princesa (Anime Salve, 1996)